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Materiale Consacrazione

I FONDAMENTI DELLA CONSACRAZIONE A MARIA NEI PADRI DELLA CHIESA – Padre Luca M. Genovese

La trattazione della consacrazione a Maria nei Padri richiederebbe una approfondita analisi di molti testi patristici in un periodo di tempo lungo circa 800 anni, impresa che farebbe rabbrividire il più esperto patrologo. Per questa trattazione mi limiterò a citare alcuni autori più significativi sui punti essenziali della realtà della consacrazione alla Vergine nei primi secoli della Chiesa.

La consacrazione a Maria, come è noto, non è semplicemente un fatto devozionale e privato, come si ritiene da molti, ma un “luogo teologico”, cioè una realtà rivelata, contenuta per intero nella Rivelazione e nella Tradizione della Chiesa.

Per comprendere appieno la portata della consacrazione, dobbiamo coglierne bene i fondamenti teologici che la sostengono e che stanno alla base della sua dottrina e della pratica di essa.

Il maestro insuperato a tutt’oggi della trattazione sui fondamenti teologici della consacrazione a Maria è, a mio avviso, san Luigi Maria Grignion de Montfort, soprattutto con il piccolo Trattato della vera devozione a Maria (TVD), col quale ha “rischiato” di essere proclamato “dottore della Chiesa”, pur non riuscendovi, ma non è escluso che in un futuro più illuminato dalla luce della Madre di Dio anche questo titolo possa essergli riconosciuto[1].

San Massimiliano e in seguito Giovanni Paolo II si ispireranno allo scritto del Montfort per vivere ed insegnare la consacrazione a Maria.

 

 

  1. Fondamenti biblici

 

I fondamenti biblici posti dal Montfort alla base della dottrina della consacrazione sono sostanzialmente due:

  1. A Maria è affidato Gesù Cristo nella sua Incarnazione fino a tutto il ministero pubblico e fino alla morte.

Ella è Madre di Cristo perché Cristo, seconda Persona della Trinità, ha deciso di affidarsi a Lei per venire nel mondo: «Dio Padre ha dato al mondo il suo unico Figlio soltanto per mezzo di Maria» (TVD 16).

 

I Vangeli dell’infanzia di Cristo, e soprattutto quello dell’An­nunciazione e dell’Incarnazione (cf Lc 1,26-38; Mt 1,18-25), testimoniano questo primo affidamento di Gesù a Maria, che Ella accetta e realizza con il totale assenso della sua volontà espressa «Eccomi, sono l’ancella del Signore» (Lc 1,38), o anche non espressa «Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Il Montfort commenta che fu questa l’opera più preziosa di Cristo, più che il compiere miracoli o guarigioni nel suo ministero pubblico. La sua opera più grande per Lui fu la sua sottomissione alla Vergine Maria, e questo deve essere imitato nella vita della Chiesa:

«Questo buon Maestro non disdegnò di rinchiudersi nel seno di Maria come prigioniero e schiavo d’amore e di esserle sottomesso e obbediente per trent’anni. Lo spirito umano, ripeto, qui si smarrisce, se riflette seriamente su questa condotta della Sapienza incarnata. Questa non volle, benché potesse farlo, darsi direttamente agli uomini, ma preferì darsi per mezzo della Vergine Santa. Né volle venire al mondo all’età d’uomo perfetto, indipendente dagli altri, ma come povero e piccolo bambino, bisognoso delle cure e del sostentamento della Madre. Questa Sapienza infinita, che aveva un desiderio immenso di glorificare Dio suo Padre e di salvare gli uomini, non trovò mezzo più perfetto e più breve a tale scopo, che quello di sottomettersi in ogni cosa alla Santa Vergine, non soltanto nei primi otto, dieci o quindici anni di vita, come gli altri fanciulli, ma per trent’anni. E diede maggior gloria a Dio suo Padre durante tutto quel tempo di sottomissione e di dipendenza da Maria, che non gliene avrebbe data impiegando quei trent’anni ad operare miracoli, a predicare per tutta la terra, a convertire tutti gli uomini. Altrimenti l’avrebbe fatto! Oh, come glorifica altamente Dio chi si sottomette a Maria, sull’esempio di Gesù!»[2].

È questo dunque il vero e primo fondamento biblico e teologico della consacrazione a Maria. Essa è un’elezione divina. Il piano soprannaturale che investe la Vergine di Sion la trascende assolutamente. La decisione di affidarle il Logos incarnato è un mistero che nasce nel seno della Santissima Trinità e che viene rivelato alla Vergine come rappresentante e primizia della realtà umana creata ed eletta per la comunione con Dio. È un fatto assolutamente imprevedibile e inconcepibile a mente umana. Che Ella sia Madre del Verbo, e Madre quindi di Dio, sfugge a qualsiasi profeta santo o ispirato, che pure in maniera adombrata, come Isaia, proprio questo fatto aveva annunciato[3]. Inutile dire che rimane un postulato della fede anche oggi, nell’era della scienza e del progresso.

 

La teologia dell’Incarnazione è la teologia dell’affidamento di Cristo, il Verbo Eterno, a Maria.

 

Da questo primo punto essenziale e fondamentale dipende l’altro:

  1. A Maria è affidata la Chiesa, come compimento della Redenzione di Cristo.

Il Montfort cita gli atti di Maria come prolungamento degli atti di Cristo, atti in cui Ella si fa portatrice della Grazia ricevuta, perché: «Gesù Cristo ha cominciato e continuato i suoi miracoli per mezzo di Maria e per mezzo di Maria li continuerà sino alla fine dei secoli» (TVD 19).

 

Il Montfort cita gli episodi della Visitazione di Maria a sant’Elisabetta, in cui Giovanni fu santificato dal saluto di Maria (cf Lc 1,44), e delle nozze di Cana, ove per la Parola di Maria, Gesù diede inizio ai suoi miracoli, trasformando l’acqua in vino (cf Gv 2,1-11).

A questi due esempi, sulla scorta della meditazione dei Padri, mi permetto di aggiungere un terzo episodio in cui risulta chiaro che a Maria è affidata la Chiesa, cioè ogni uomo redento dal Sangue di Cristo: è la pericope evangelica di Gv 19,25-27[4], ove Giovanni, prima della subitanea morte di Gesù, viene affidato a Maria come suo nuovo figlio, e a Giovanni viene concesso di prendere Maria come sua nuova Madre.

Con la morte di Cristo si compie la Redenzione. Con l’affidamento di Giovanni a Maria si rende efficace la Redenzione. Il Sacrificio di Gesù risulterebbe sterile se a Maria non fosse affidato Giovanni, cioè se la Grazia appena ottenuta della Salvezza non fosse veicolata, convogliata da Maria, unica depositaria di questo immenso dono, che lo offre agli uomini bisognosi di esso, primo fra tutti a Giovanni, e  poi a tutti gli altri Apostoli nel giorno di Pentecoste[5].

Da questi fondamenti biblici, pur limitati di numero, si possono scrutare gli scritti dei Padri relativi al doppio rapporto tra Maria e Cristo e tra Maria e i membri della Chiesa, per comprendere qual è stata la comprensione del valore della consacrazione a Maria nel pensiero dei Padri della Chiesa.

Pur non scrivendo trattati mariologici, e tantomeno trattati sulla consacrazione, come fece il Montfort, i Padri sorsero come i primi autentici esegeti della Sacra Scrittura[6], che commentarono con la validissima vicinanza della Tradizione Apostolica, cioè dei primi seguaci di Gesù, di cui furono i successori nella guida e nella intellezione del Mistero[7]. Oggi non si può prescindere dai Padri per una corretta impostazione teologica della fede, proprio per la loro vicinanza a Cristo e agli Apostoli nell’interpretazione delle Sacre Scritture[8]. Ci incamminiamo quindi nel sentiero tracciato dai santi Padri per l’interpretazione dei passi mariologici relativi alla consacrazione a Maria.

 

 

  1. Testi sulla consacrazione di Cristo a Maria nella Tradizione patristica

 

Sono innumerevoli i testi patristici che trattano dell’Incarnazione. Nel tema dell’Incarnazione compare ovviamente la Mediazione di Maria che per il Montfort, come per gli autori dei primi secoli cristiani, deve essere messa in rilievo come il luogo umano suo proprio, la collaboratrice dell’inizio dell’umana redenzione, con il suo assenso al fatto dell’Incar­nazione.

Un autore che parla diffusamente dell’apporto di Maria all’Incar­nazione è sant’Ireneo, noto polemista e Vescovo degli inizi del III secolo, il quale diresse la sua opera soprattutto nella direzione della lotta contro degli eretici gnostici, figli del pensiero platonico e del dualismo teologico (Dio buono e dio cattivo, bene e male si contrappongono senza vincersi).

Per Ireneo, Maria è la «Nuova Eva»[9], come Cristo è il nuovo Adamo, che con la sua obbedienza a Dio ricapitola[10] e salva Eva, rea di disobbedienza. Ireneo fa capire che la Vergine è stata necessaria alla salvezza dell’uomo; la sua non è una presenza semplicemente strumentale ma attiva ed efficace nell’ambito dell’Incarnazione[11].

Emblematica è la confutazione che fa degli gnostici che sostenevano la presenza di Cristo in Maria come un eone, un logos, un’entità staccata da Lei, avente solo un’apparenza umana (docetismo) che solo per necessità ha dimorato nel suo grembo, ma senza riceverne influssi umani, con la seguente analisi:

«Sbagliano dunque, quanti dicono che non ha preso nulla dalla Vergine, per rifiutare l’eredità della carne e respingere anche la somiglianza. Infatti, se Adamo ha avuto la plasmazione e la sussistenza dalla terra, grazie alla mano e all’arte di Dio, questo non conserva più la somiglianza dell’uomo creato a sua immagine e somiglianza, e l’artefice apparirà incoerente, non avendo un oggetto sul quale mostrare la sua sapienza. Ciò equivale a dire che Egli si è mostrato in apparenza come uomo, senza essere uomo e si è fatto uomo senza perdere niente dell’uomo. Infatti se non ha preso da un essere umano la sostanza della carne, non si è fatto né uomo né figlio dell’uomo. Ora, se non si è fatto ciò che eravamo noi, non aveva grande importanza che soffrisse e patisse […] Tutto questo dunque è divenuto il Verbo di Dio, ricapitolando in se la sua propria creatura e per questo proclama di essere figlio dell’uomo […] Altrimenti sarebbe inutile anche la sua discesa in Maria. Infatti, perché sarebbe disceso in Lei se non avesse dovuto prendere nulla da Lei? E ancora, se non avesse preso nulla da Maria, non si sarebbe accostato agli alimenti presi dalla terra, e dopo aver digiunato quaranta giorni come Mosè ed Elia, non avrebbe avuto fame, se il suo corpo non avesse richiesto il proprio nutrimento; né il suo discepolo Giovanni, scrivendo di Lui, avrebbe detto:Gesù, stanco per il viaggio, stava seduto” (Gv 4,4)»[12].

 

Si nota qui il senso più logico, metafisico e insieme storico dell’In­carnazione, che consiste nell’affidamento del Logos eterno di Dio a Maria. È grazie alla perfetta umanità di Maria che il Verbo può farsi carne e quindi divenire partecipe della nostra condizione umana. Senza questa compartecipazione piena all’umanità, fornitagli dalla Santa Vergine, Cristo non avrebbe potuto incarnarsi né compiere la sua opera di Redenzione, partecipando pienamente a tutte le sofferenze umane. Il bisogno infatti che aveva di mangiare o la stanchezza per il viaggio dimostrano la sua piena umanità con la quale Egli comincia a redimere l’uomo, o, come dice spesso sant’Ireneo, ricapitolare, ovvero, dare un nuovo assetto, rinnovare, come riavvolgere intorno a un’asta il libro che si era svolto, dice Giovanni Paolo II[13].

La Vergine è il referente umano del piano di Dio. Per questo è scelta, perché la parte umana di Cristo prenda carne da Lei. Sant’Ireneo insiste sulla preposizione “da” (apò), piuttosto che sulla preposizione “in” (en), per significare che Maria ha dato se stessa per l’Incarnazione dalla cui natura ha attinto il Logos eterno, e che proprio questo Dio ha voluto. Senza la sua cooperazione materna, questa non si poteva realizzare; Lei era l’unica creatura adatta, “degna”, di poter ricevere un simile compito da Dio Onnipotente: non solo quello di “ospitare” il Figlio di Dio nel suo grembo (en), come vorrebbero gli eretici, ma di farlo Lei (apò), in collaborazione con lo Spirito di Dio. Il Figlio di Dio risulta così vera “parte” di Maria, una sua produzione, o quanto meno, co-produzione. Da qui nasce anche l’ampia riflessione teologica che porterà alla formulazione del dogma della Maternità Divina di Maria (Theotòkos) nel Concilio di Efeso (431).

Un’altra riflessione vien da fare, rileggendo il brano del Santo Vescovo di Lione. Maria Santissima è portata qui come prova della vera umanità di Cristo. Il ragionamento di Ireneo sulla Vergine parte dal fatto che l’uomo, formato dalla terra, deve essere redento dal suo peccato. Per redimerlo bisognava che un altro uomo, come tale per natura in tutto identico agli altri, prendesse su di sé le sofferenze umane, i peccati degli uomini, e li distruggesse. Se Cristo non fosse nato da Maria questo non sarebbe potuto avvenire, perché da Lei Cristo prende tutta intera l’umanità, soggetta anche alla debolezza (fame, sete, stanchezza) e alla morte. Maria coopera in maniera speciale offrendo tutta se stessa per questa opera di sanazione, assumendo in sé e producendo da sé tutto intero il Verbo divino fatto carne. Ella è il teatro e l’agente umano unico e privilegiato dell’Incarnazione. La testimone diretta e unica della vera umanità di Cristo.

La teologia dell’Incarnazione del Verbo è messa in relazione da Ireneo anche con la nascita dei nuovi figli di Dio, i redenti dal Sangue di Cristo, anche questi nati per la collaborazione di Maria:

«Altri poi dicono: “Egli è uomo, ma chi lo conosce?” (Ger 17,9). E ancora: “Andai dalla profetessa ed ella partorì un figlio; ha nome Consigliere ammirabile, Dio forte” (Is 8,3; 9,6). E coloro che lo preannunziavano Emmanuele nato da una Vergine, manifestavano l’unione di Dio con la sua fattura: che cioè il Verbo si sarebbe fatto carne e il Figlio di Dio, figlio dell’uomo, puro che, in modo puro, avrebbe aperto quel puro grembo che rigenera gli uomini in Dio: grembo che Egli stesso rese puro, e fattosi quel che noi siamo è Dio forte ed ha una generazione inenarrabile»[14].

Il piccolo accenno d’Ireneo alla comune nascita di Cristo e degli altri uomini dallo stesso grembo è il principio della Redenzione, cioè della trasmissione della Grazia dalla sua Origine, che è Cristo, fino a tutti gli uomini, purché ciò avvenga nella maniera unica e insostituibile di nascere «da quel puro grembo che rigenera gli uomini in Dio».

Con questa frase Ireneo mette un’ipoteca sulla teologia della universale Mediazione materna e sulla Corredenzione. Infatti come Cristo è entrato nel mondo tramite Maria, cioè affidandosi a Lei, così anche gli uomini possono entrare in Dio solo e sempre per mezzo del medesimo santo Grembo materno. Ovviamente la generazione degli uomini come Figli di Dio e fratelli di Cristo è una generazione spirituale, ma, se ci pensiamo bene anche quella di Cristo è una generazione spirituale, perché Egli «senza opera d’uomo»[15] è nato da una Vergine e ci dona la sua divinità. Dunque le due “generazioni” da una stessa Madre si assomigliano, anche se, ovviamente, non arrivano ad identificarsi. Quella del Figlio Unigenito è una generazione “divina”, unica nel suo genere e di cui Maria Santissima è la prediletta, unica e umile depositaria; quella degli altri figli redenti dal peccato è pure una generazione dall’alto[16], ma operata in maniera conforme per tutti gli uomini grazie alla immolazione cruenta e al Sangue sparso del Divino Agnello, di cui la Vergine Santissima è fedele custode e dispensatrice per tutti coloro che si affidano a Lei e per questo sono destinati a diventare Figli di Dio.

Il Montfort esprime in vari modi questa doppia generazione da Maria, effetto del doppio affidamento del Cristo e dei redenti, che costituisce Maria Santissima vero discrimine umano della salvezza eterna, vera porta attraverso cui inevitabilmente devono passare i chiamati alla salvezza, perché attraverso di essa è passato per primo il loro Capo e Maestro, Gesù Cristo:

«“L’uno e l’altro è nato in essa” dice lo Spirito Santo. Secondo la spiegazione di alcuni Padri, il primo uomo nato da Maria è l’Uomo-Dio, Gesù Cristo; il secondo è un semplice uomo, figlio per adozione di Dio e di Maria. Ora, se Gesù Cristo, Capo degli uomini è nato da Lei, anche i predestinati, che sono le membra di questo Capo, debbono per necessaria conseguenza nascere da Lei. Una stessa madre non dà alla luce la testa o il capo senza le membra, né le membra senza la testa: diversamente si avrebbe un mostro di natura. Così nell’ordine della grazia, il Capo e le membra nascono da una stessa Madre. E se un membro del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè un predestinato, nascesse da un’altra madre che non sia Colei che ha generato il Capo, non sarebbe un predestinato, né un membro di Gesù Cristo, ma un mostro nell’ordine della grazia»[17].

 

E ancora:

«Lo Spirito Santo ha formato Gesù Cristo soltanto per mezzo di Lei; forma i membri del suo Corpo Mistico soltanto per mezzo di Lei. Dopo tanti e così incalzanti esempi della Santissima Trinità, come potremmo, senza un estremo accecamento, fare a meno di Maria e non consacrarci a Lei e dipendere da Lei per andare a Dio e a Dio sacrificarci?»[18].

A dimostrazione di questa verità lo stesso Montfort cita un passo di Origene tratto dai Frammenti sui Salmi 86,5 (PG 12, 1547):

«Maria ha due figli: un uomo Dio e un semplice uomo. Del primo è madre corporalmente, del secondo spiritualmente»[19].

 

Pare che il grande esegeta alessandrino coniò per primo il termine “theotokos”, più di un secolo prima della proclamazione del dogma di Efeso (431). Tuttavia questa parola non si ritrova nei suoi scritti, che però in gran parte sono andati perduti[20]. È però opinione comune che il pur discusso maestro dell’allegoria insegnò la necessità dell’affida­mento a Maria[21].

Anche sant’Agostino è citato indirettamente dal Montfort[22] per supportare la tesi della doppia appartenenza a Maria. Agostino sviluppò parecchi punti della mariologia, da grande teologo quale era. Il concetto della maternità della Chiesa sviluppato nel De Sancta Virginitate  e riportato dal Montfort ha ispirato anche il più moderno pensiero teologico sui rapporti tra Maria e la Chiesa. Così recita il testo agostiniano:

«Maria è stata l’unica donna ad essere insieme Madre e Vergine, tanto nello spirito come nel corpo. Spiritualmente però non fu Madre del nostro capo, cioè del nostro Salvatore, dal quale piuttosto ebbe la vita, come l’hanno tutti coloro che credono in Lui (anche Lei è una di questi!), ai quali si applica giustamente il nome di figli dello Sposo. È invece senza alcun dubbio Madre delle sue membra, che siamo noi, nel senso che ha cooperato mediante l’amore a generare alla Chiesa dei fedeli, che formano le membra di quel capo»[23].

La doppia nascita prende sempre in considerazione Maria come unica artefice di questo mirabile scambio, chiamato dai teologi «unione ipostatica», che riguarda non solo Cristo, nel suo movimento dall’alto (cioè dalla sede ultraterrena della Santissima Trinità), verso il basso (il grembo della Vergine Maria e la vita umana), ma anche quello di tutti i redenti e predestinati alla Salvezza, dal basso (il grembo della Vergine Maria, che pure è la vetta dell’umanità) verso l’alto (il Regno di Dio, la Santissima Trinità).

 

Ancora Agostino:

«L’utero della Vergine fu la sua stanza nuziale perché è là che si sono uniti lo Sposo e la sposa, il Verbo e la carne. Poiché sta scritto: “E i due saranno una sola carne” (Gn 2,24); e anche il Signore dice nel Vangelo: “Dunque non sono due ma una sola carne” (Mt 19,6). Molto opportunamente anche Isaia ricorda che quei due sono un solo essere; parlando in persona di Cristo dice: “Egli pose sul mio capo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa” (Is 61,10). Qui come si vede è uno solo che parla e che si dichiara insieme sposo e sposa, perché non sono due ma una sola carne. È ciò che avviene perché «il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv 1,14). La Chiesa si unisce a quella carne e abbiamo il Cristo totale, corpo e membra»[24].

Anche qui Agostino lascia intendere la doppia appartenenza di Cristo e della Chiesa dal grembo della Vergine Maria, senza la quale non verrebbe creato il suo Mistico Corpo. L’espressione «Madre della Chiesa», pronunciata da Paolo VI nel discorso di chiusura del Concilio[25] e ribadita nell’Esortazione apostolica Signum Magnum del 13 Maggio 1967, accoglie la dottrina della doppia nascita (di Cristo e della Chiesa) per mezzo di Maria e ne fa il centro essenziale della Redenzione dell’uomo e della sua elevazione in Dio per mezzo dell’unione con Cristo da Lei per prima realizzata[26].

 

 

  1. Testi sulla consacrazione dell’uomo a Maria nella Tradizione patristica

 

Il testo biblico più importante che, commentato dai Padri ci fa intravvedere la teologia della consacrazione dei fedeli a Maria Santissima è senz’altro il testo di Gv 19,25-27, in cui appare chiaramente la Volontà di Cristo morente di affidare la sua vera Madre al discepolo prediletto e questi a sua Madre.

In questo reciproco scambio avviene la rinascita dell’anima in Dio per la Mediazione fondamentale della Vergine. La Mediazione di Maria è universale e necessaria.

Origene, in molti punti discusso ma grande per la sua esegesi allegorica ha un passo illuminante in proposito:

«Si deve dunque osar dire che le primizie di tutte le Scritture sono i Vangeli, ma che dei Vangeli primizia è quello di Giovanni. Non può alcuno percepirne il senso a meno che non abbia riposato sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da Gesù Maria, diventata anche Madre sua. Tale infatti dovrà diventare chi vorrà essere un altro Giovanni, che – come di Giovanni – Gesù possa dichiarare di lui che è Gesù. Se infatti – secondo coloro che sanamente sentirono di Lei – nessun altro è il Figlio di Maria all’infuori di Gesù, e Gesù dice alla Madre: “Ecco il figlio tuo”, è come se dicesse: “Ecco, costui è Gesù che tu hai generato”. Poiché ogni perfetto non vive più ma è Cristo che vive in lui; e se Cristo vive in lui, di lui si dice a Maria: “Ecco Cristo, tuo figlio”»[27].

 

Sembra evidente che dal testo giovanneo Origene colga l’esatta dimensione della verità cristologica dell’affidamento a Maria. C’è identificazione tra Maestro e discepolo e questo può far sì che la figliolanza di Cristo nei confronti di Maria passi anche al discepolo. In effetti il Montfort parla della consacrazione a Maria come la forma più perfetta di consacrazione a Gesù Cristo[28]. Ora, spiega Origene, parafrasando la Lettera ai Galati, “ogni perfetto non vive più ma è Cristo che vive in lui[29], dunque ogni uomo perfetto, cioè conforme a Cristo, deve avere Maria per Madre, come l’ha avuta Lui.

La perfezione è una, come una è la Madre dell’Unigenito. La perfe­zione dunque viaggia sul duplice binario del rapporto tra Gesù e Maria. Chi è identico a Gesù riconosce Maria per Madre e da Maria è riconosciuto per figlio. Origene arriva a tale ardita spiegazione perché nel testo greco nella frase «Ecco il tuo figlio», la parola figlio è preceduta dall’articolo determinativo (o), il che sta a significare, secondo l’autore, l’indicazione di una persona unica, ben specifica, l’unico figlio di Maria, che è sempre e solo il Cristo[30]. In quel momento Giovanni è consacrato come “altro Cristo”. In effetti è proprio questo il fine della consacrazione a Gesù Cristo per le mani di Maria, secondo il Montfort: rendere l’uomo unito a Cristo: «Questa devozione è una via facile, breve, perfetta e sicura per giungere all’unione con Nostro Signore nella quale consiste la perfezione del cristiano»[31].

L’appunto che si può fare all’Autore alessandrino è che egli sembra vedere la figliolanza nei confronti di Maria quasi come una conseguenza e non come un mezzo della consacrazione a Cristo. Siamo ancora agli inizi del III secolo e neppure la Cristologia conosce dogmi definiti. Preten­derlo dalla mariologia in quei tempi lontani sarebbe impossibile. È importante però rilevare la piena corrispondenza che Origene coglie, nel cammino della perfezione cristiana, tra il discepolo e Cristo e insieme tra il discepolo e Maria.

 

L’interpretazione del brano di Giovanni da parte di Agostino è ancora più originale.

Quella redenzione che Gesù sembra negare a Maria nelle nozze di Cana dicendo «Che importa a me e a te o donna» (Gv 2,4), è realizzata pienamente nell’affidamento del discepolo prediletto a Maria:

«E poiché Maria non era la madre della divinità, e il miracolo che ella chiedeva doveva compiersi in virtù della divinità, per questo disse: “Che importa a me e a te, o donna?”. Non credere però, o Maria, che io voglia rinnegarti come Madre; è che “non è ancora giunta la Mia ora”. Allora, quando l’infermità di cui sei madre penderà dalla Croce, io ti riconoscerò. Ecco la prova di questa verità. Narrando la passione del Signore, il medesimo evangelista che conosceva la Madre del Signore e come tale ce l’ha presentata in quelle nozze, dice così: “Stava là, presso la Croce, la Madre di Gesù e Gesù disse a sua Madre: Donna, ecco il tuo figlio. Poi al discepolo: Ecco tua Madre” (Gv 19,25-27). Affida la Madre al discepolo; affida la Madre, egli che stava per morire prima di Lei e che sarebbe risorto prima che Ella morisse. Egli, uomo, raccomanda ad un uomo una creatura umana. Ecco la natura umana che Maria aveva partorito. Era venuta l’ora alla quale si riferiva quando aveva detto: “Non è ancora giunta la mia ora”»[32].

 

La Maternità di Maria nei confronti di tutti gli uomini, richiesta a Cana, doveva compiersi sul Calvario, nel compimento dell’«ora» di Gesù. In quell’ora Gesù affida a Maria l’umanità in Giovanni, ed Ella può cominciare il suo ministero di plasmare le anime per modellarle secondo Cristo. È importante, per Agostino, che questo avvenisse solo dopo il compimento dell’opera di Redenzione, realizzata da Cristo con la sua morte. La Grazia del Capo poteva così passare al Corpo (per la Mediazione di Maria):

«Colui che risuscitò come Capo, risorgerà anche nelle altre membra. Quindi, non era ancora giunta l’ora, non era ancora il momento opportuno. Si dovevano prima chiamare i discepoli, si doveva annunziare il Regno dei Cieli, si dovevano compiere i prodigi; si doveva prima confermare con i miracoli la Divinità del Signore, e con i patimenti la sua umanità. Colui che soffriva la fame perché era uomo, sfamò migliaia di persone perché era Dio; Colui che dormiva perché era uomo, comandava ai venti e ai flutti perché era Dio. Era necessario che prima fosse testimoniato tutto questo, affinché gli Evangelisti avessero di che scrivere e la Chiesa potesse ricevere il messaggio della salvezza. E allorché il Signore ebbe compiuto quanto ritenne necessario compiere, giunse l’ora sua, l’ora segnata, non dalla necessità ma dalla libera volontà, non l’ora della fatalità ma della sovrana potestà»[33].

 

Agostino sembra intendere che la pienezza dell’affidamento della Chiesa a Cristo, il passaggio dalla sua condizione di peccato a quello della Grazia, avviene sulla Croce, presente e operante Maria. Anche qui è indubbia l’efficacia della Mediazione e la necessità dell’affidamento a Lei per ottenere la grazia della Salvezza.

 

Oltre a questi testi classici, perché tratti da commentari evangelici, piace aggiungere un testo ancora più antico, risalente al II secolo, tratto da uno scritto apocalittico apocrifo cristiano, conosciuto come il “Pastore” di Erma.

Da quel che ne sappiamo Erma fu il fratello di san Pio I, papa tra il 140 e il 154 d.C. (o il 142 e il 156), secondo quanto ci riferisce il canone “Muratoriano”[34]. Di lui però sappiamo poco. Questo suo scritto articolato in tre diverse parti (Visioni, Precetti, Similitudini) pare sia stato compilato in un lungo periodo di tempo. In esso infatti sono presenti ripetizioni e rifacimenti, tanto che si è pensato anche che non potesse essere di una sola mano[35].

Lo scritto è pieno di quadri di visioni soprannaturali che rivelano la realtà futura, escatologica, soprattutto in riferimento alla Chiesa che deve essere edificata sull’unico fondamento che è Cristo. Esso ebbe un grande valore profetico, tanto che fu letto nelle chiese d’occidente come ispirato fino agli inizi del III secolo, e in Oriente fin verso la metà del IV.

Le continue rivelazioni, visioni, allegorie, sono richiami alla penitenza per il giudizio incombente, e per la Chiesa che, una volta completata, non potrà più ospitare coloro che, pur eletti a farne parte, sono stati scartati per i loro peccati e se non faranno immediata penitenza corrono il rischio di esserne per sempre esclusi.

Tra le visioni escatologiche campeggia quella di una donna misteriosa che dice di essere la Chiesa, ma sappiamo dall’Apocalisse di Giovanni, da cui il “Pastore” sembra prendere spunto, che la donna-Chiesa di Ap 12 facilmente è identificabile anche con la Vergine Maria, e in Erma i titoli con cui essa è identificata lasciano pochi dubbi: le si attribuisce il nome di “Presbitera” (anziana o sacerdotessa, veste in abiti sacerdotali, compresi mitra e pastorale), “Kyria” (Signora), “Madre”, “Vergine” e “Sposa”. Inoltre il suo comportamento è talmente spontaneo e immediato che è difficile considerarla una figura plastica tipica delle allegorie bibliche, intesa come personificazione di una realtà astratta, come la Sapienza, che parla in vari libri dell’Antico Testamento, o Israele presentata spesso come giovinetta o Sposa infedele.

Nella sua “rivelazione” fatta ad Erma la “Signora” lo induce a scrivere tutto ciò che vede e riceve nelle visioni su di un libretto che poi si doveva diffondere in tutte le chiese[36]. Si può pensare al testo unico di Erma che ora possediamo.

Per il nostro discorso sulla consacrazione ci sono due passaggi abbastanza significativi all’interno del testo.

Il primo, in cui Erma è sollevato su una panca d’avorio a livello della sua visione e da lì, per intercessione della “Signora”, può contemplare il grado della sua virtù e una torre in costruzione, simbolo della Chiesa, che una volta completata non potrà ospitare più nessuno al suo interno. Le pietre da costruzione sono tutti gli uomini chiamati alla Salvezza:

        «“Poiché hai bisogno e premura di conoscere tutto, vieni nel campo ove coltivi il farro e verso l’ora quinta ti apparirò e ti mostrerò ciò che devi vedere”. Le chiesi: “Signora, in qual luogo del campo?”. “Dove tu vuoi”. Mi scelsi un bel posto nascosto. Mi prevenne prima che le parlassi e le dicessi il luogo. “Verrò là dove tu vuoi”. Mi trovai, fratelli, nel campo. Contai le ore e mi recai nel luogo ove decisi di recarmi. Vedo collocata una panca d’avorio e sulla panca giacere un cuscino di lino, con sopra disteso un velo di lino finissimo. Vedendo tali cose e che nessuno v’era nel luogo, rimasi stupito. Ebbi un tremito, mi si rizzarono i capelli e poiché ero solo mi assalì come un brivido. Tornato in me stesso e ricordatomi della gloria di Dio, presi coraggio. Inginocchiato confessavo di nuovo al Signore i peccati, come prima. Essa venne con i sei giovani che avevo visto anche precedentemente, mi si avvicinò e mi stette ad ascoltare, mentre pregavo e confessavo i miei peccati. Toccandomi dice: “Erma, cessa di pregare per tutti i tuoi peccati; prega anche per la giustizia perché tu ne riceva qualche parte per la tua casa”. Mi solleva con la mano e mi porta alla panca e dice ai giovani: “Andate a costruire”. Dopo che i giovani se ne andarono, rimanemmo soli e mi disse: “Siedi qui”. Le dico: “Signora, lascia che si seggano prima i presbiteri”. Essa risponde: “Ti dico siediti”. Volevo sedermi alla destra e non me lo permise, ma mi accenna con la mano di sedermi alla sinistra. Mentre riflettevo e mi addoloravo perché non mi aveva lasciato sedere alla destra mi dice: “Sei afflitto, Erma? Il posto della destra è di altri, di quelli che sono piaciuti a Dio ed hanno sofferto per il suo nome. Manca molto a te per sederti con loro. Ma persevera, come già fai nella tua semplicità e vi sederete con loro tu e quanti faranno ciò che essi hanno fatto e subiranno ciò che essi hanno subito”. “Che cosa subirono?”. “Ascolta, mi rispose: flagelli, carceri, grandi tormenti, croci, belve a motivo del nome. Perciò la destra del luogo santo è loro e di chiunque abbia a patire per il nome; la sinistra è degli altri. Uguali sono i doni e le promesse degli uni e degli altri, di quelli che siedono a destra e a sinistra; soltanto quelli siedono a destra ed hanno una certa gloria. Tu hai desiderio di sederti a destra con loro, ma molte sono le tue insufficienze. Tuttavia sarai mondato dei tuoi peccati. Tutti quelli che non hanno tentennato saranno purificati dalle loro colpe sino a questo giorno”. Dopo aver detto ciò se ne voleva andare. Prostratomi ai suoi piedi la scongiurai per il Signore di mostrarmi la visione che mi aveva promesso. Essa mi prese di nuovo per mano, mi sollevò, mi fece sedere sulla panca a sinistra ed essa si mise a sedere a destra. Alzando un bastone splendente, mi dice: “Vedi una cosa grande?”. Le dico: “Signora, non vedo nulla”. Mi dice: “Non vedi davanti a te una torre grande che è costruita sulle acque con pietre quadrate luminose?”. In un quadrato una torre era costruita dai sei giovani venuti con lei. Altre miriadi di uomini trasportavano pietre dal fondo e dalla superficie e le porgevano ai sei giovani. Essi le prendevano e costruivano. Situavano tutte le pietre cavate dal fondo nella costruzione poiché erano squadrate e combaciavano nella giuntura con le altre pietre. Erano così ben connesse che non lasciavano apparire la congiunzione. Sembrava che l’edificio della torre fosse come costruito con una sola pietra»[37].

 

Per due volte Erma si affida a questa misteriosa donna, che viene dal Cielo. Viene sollevato in alto posto a sedere nella visione e la prima volta gli viene spiegato il modo di conquistare il posto a destra sul trono d’avorio, dando la vita come i martiri, mentre la seconda volta riesce, sempre per intercessione della Kyria, a contemplare la Chiesa come una costruzione di tante pietre unite insieme fino a formare una cosa sola.

In ciò è facile scorgere il valore escatologico delle profezie della “Signora”: prima il martirio come segno di predilezione per assidersi alla sua destra, e poi tutta la Chiesa che in terra è in costruzione e si protende verso il cielo, verso il suo compimento, con la caratteristica di risultare come un monolito, talmente è forte l’adesione delle pietre da costruzione (i cristiani), gli uni agli altri.

 

Nel secondo brano, senza massimalizzare, si scorge nientemeno che la Mediazione di Maria, Madre dei Credenti, presso il trono della Trinità. Ella esorta maternamente tutte le categorie dei cristiani alla conversione, perché possa parlarne con gioia al Figlio, davanti al Padre:

«Ascoltatemi, figli. Io vi ho allevati con molta semplicità, innocenza e santità per la misericordia del Signore che ha versato su di voi la giustizia, per essere corretti e santificati da ogni malvagità e crudeltà. Voi, però, non volete smettere le vostre cattiverie. Ora datemi ascolto: vivete in pace tra voi; frequentatevi; aiutatevi scambievolmente e non godete da soli a profusione delle cose create dal Signore, ma datele anche ai bisognosi. Alcuni per i molti cibi procurano malessere al corpo e corrompono la loro carne. Invece, la carne di coloro che non hanno da mangiare si consuma, per non avere il necessario sostentamento, e il loro corpo si distrugge. Questa intemperanza è dannosa per voi che possedete e non date ai bisognosi. State attenti al giudizio che è vicino. Voi che avete di più cercate, dunque, i poveri sino a quando la torre non è terminata. Dopo che è terminata vorrete fare del bene ma non avrete modo. Fate attenzione, voi che vi vantate della vostra ricchezza, che i bisognosi non siano mai angustiati e il loro lamento non salga al Signore. Con i vostri beni non sia chiusa la porta della torre. Dico a voi che siete i capi della Chiesa e occupate i primi posti: non vi fate simili ai fattucchieri. I fattucchieri portano i loro filtri nei vaselli, voi portate il vostro filtro, il veleno, nel cuore. Siete induriti e non volete purificarvi, fondere il vostro sentimento nel cuore puro per ottenere misericordia dal grande Re. Badate, figli, che questi dissensi non vi privino della vostra vita. Come potete educare gli eletti di Dio, se non siete voi educati? Educatevi, dunque, l’un l’altro e vivete in pace perché io davanti al Padre possa contenta parlare al Signore di voi tutti»[38].

 

Il passo è molto esplicito. Nell’incipit si nota la benevolenza materna dell’apparizione: «Ascoltatemi, Figli», che richiama ai doni di grazia ricevuti dall’alto per la Salvezza.

Nella parte centrale si nota una serie di vizi molto specifici da riconoscere e da correggere tra le varie categorie di credenti (tra di esse anche i capi della Chiesa).

Nella chiusa si nota il desiderio di intercedere presso il Figlio (il Signore, così è chiamato Gesù in tutta l’opera), davanti al Padre. Il motivo escatologico trinitario illumina tutta l’opera e si compie per la mediazione di questa donna, che osiamo identificare con Maria, Madre di Gesù e immagine della Chiesa Celeste, a detta del Concilio Vaticano II[39].

 

 

  1. Formule individuali di consacrazione a Maria

 

Non tanti atti di affidamento si possono trovare nel corso del primo millennio cristiano. Tuttavia in due casi possiamo già cogliere la sostanza dell’affidamento che verrà sviluppato nei secoli successivi dagli scrittori ecclesiastici, in modo particolare da san Luigi Maria Grignion de Montfort e da san Massimiliano Kolbe.

Il primo autore nei cui scritti si incontra la prima formulazione dell’af­fidamento a Maria è sant’Ildefonso di Toledo. Siamo già in epoca tar­diva, nel VII secolo, epoca del dominio dei Visigoti in Spagna, cosa che però non impedisce un certo sviluppo culturale. Ildefonso, prima Abate del Monastero dei Santi Cosma e Damiano e poi Vescovo della città di To­ledo, sollecitato a questa carica dallo stesso re visigoto Recesvinto, con­ser­verà sempre una tenera devozione per la Madre di Dio, che pare gli ap­parve anche durante una celebrazione religiosa per offrirgli personalmente la pianeta sacerdotale e convincerlo così ad abbracciare il sacerdozio. Di­fese la Verginità di Maria allo stesso modo in cui vi si era applicato, tre­cento anni prima, il santo dottore Girolamo di Stridone.

 

Ecco il testo della consacrazione, tratto proprio dal suo trattato sulla Verginità di Maria:

«Ed ora mi rivolgo a te, o sola Madre di Dio e Vergine, mi prostro davanti a te, o solo capolavoro dell’Incarnazione del mio Dio; mi umilio davanti a te che sola sei stata riconosciuta Madre del mio Signore, io ti prego, tu che sola sei stata riconosciuta come Ancella del Figlio tuo, di ottenere che siano distrutte le colpe dei miei peccati; ottienimi di amare la gloria della tua Verginità, rivelami la grandezza della dolcezza del Figlio tuo, concedimi di parlare e di difendere la verità della Fede del Figlio tuo, permettimi pure di aderire a Dio e a te, di sottopormi al mio Signore e a te; a Lui come mio Creatore e a te, come Madre del mio Creatore; a Lui come Signore delle potenze del Cielo, e a te come Ancella del Signore dell’universo; a Lui come a Dio, e a te come Madre di Dio; a Lui come mio Redentore, a te come Cooperatrice della mia redenzione. E veramente, quanto Egli ha compiuto per la mia redenzione, lo ha attuato, derivandolo dalla verità della tua persona. Nell’essersi fatto mio Redentore, è diventato Figlio tuo. Nell’essersi fatto prezzo del mio riscatto, la sua Incarnazione è frutto della tua carne, e in essa Egli sanò le mie piaghe; dalla tua carne Egli trasse il corpo destinato alle ferite, e con esso Egli distrusse la mia morte; dal corpo della tua mortalità Egli trasse il suo corpo mortale, con il quale poté distruggere i miei peccati che Egli si addossò. Egli prese da te il corpo senza peccato, assunse dalla realtà del corpo della tua umiltà la mia stessa natura, che Egli, precedendomi nel suo Regno, collocò nella sede del Padre suo al di sopra degli Angeli. Pertanto io sono tuo servo, perché il Figlio tuo è il mio Signore. Perciò sei tu la mia Signora, perché sei l’Ancella del mio Signore. Perciò io sono il servo dell’Ancella del mio Signore, perché tu, o mia Signora, sei diventata la Madre del mio Signore. Io ti prego e ti supplico o Santa Vergine, affinché io accolga Gesù, da parte di quello Spirito, per opera del quale tu hai generato Gesù. L’anima mia possa ricevere Gesù grazie a quello Spirito, per opera del quale la tua carne ha concepito Gesù. Mi sia dato di conoscere Gesù per quello spirito dal quale ti fu dato di conoscere, possedere e partorire Gesù; che io possa manifestare intorno a Gesù le cose umili e le cose alte per quello Spirito, grazie al quale ti sei professata Ancella del Signore, desiderando che a te avvenisse secondo la parola dell’Angelo; che io ami Gesù in quello Spirito, nel quale tu lo adori come Signore e lo contempli come tuo Figlio; che io tema con tanta sincerità questo Gesù, quanto sinceramente Egli, pur essendo Dio, era soggetto ai suoi genitori»[40].

 

La formula è molto diversa da quelle che conosciamo nel tempo più vicino a noi, a cominciare da quella di san Luigi Grignion de Montfort. Lo stile è più omiletico e declamatorio. Il saggio che egli scrive è altamente apologetico e ricco di trovate colte e retoriche. L’Autore non si risparmia ricercatezze, (ritornelli, forma litanica, chiasmo) che servono a stimolare il lettore, ma certamente non nasconde una grande profondità teologica, poi sviluppata nei secoli successivi.

La preghiera è rivolta a Maria perché Ella «riveli il suo Figlio», faccia aderire il consacrante a Lei e al suo Figlio, con lo scopo di «difendere la verità della Fede del Figlio».

La consapevolezza del peccato pure è presente nella formula, ed è la base di umiltà necessaria per rivolgersi a Maria. In Montfort ricordiamo la schietta formulazione «io […] infedele peccatore»… Segue poi l’affida­mento totale alla Vergine, anche se non si parla in sant’Ildefonso di po­tenze, di corpo e di anima, o di meriti, ma solo di unione, e infine tra­spare l’approccio missionario della consacrazione: «Parlare e difendere la verità di Fede del tuo Figlio» oltre a un ardente desiderio di servire e di amare perfettamente anche il Figlio della Vergine.

 

        Quattro dunque i momenti della consacrazione:

1) la presa di coscienza del proprio nulla e del proprio peccato;

2) l’affidamento vero e proprio;

3) la missione per diffondere la Fede;

4) professione di Fede nella servitù a Maria e a Gesù.

 

Non manca la profondità teologica con cui l’Autore si sforza di spiegare i grandi misteri della Fede, che rendono la formula consacratoria quasi una catechesi sulla grandezza della Mediazione di Maria, soprattutto nel mistero dell’Incarnazione e della sofferenza redentiva di Cristo.

La collocazione che sant’Ildefonso dà alla Beata Vergine al centro di tutto il mistero della vita del Cristo, dice di una teologia già molto sviluppata nei confronti dei privilegi di Maria, tanto da indicarla già «Cooperatrice della Redenzione», formula che sarà adottata nelle espressioni mariologiche del Concilio Vaticano II[41].

Ella fornisce il corpo umano di Cristo, non solo per permettere l’In­carnazione, ma anche la sua sofferenza salvifica. Ciò colloca Maria San­tissima nei fasti delle più grandi altezze della storia della Salvezza non solo per le grazie ricevute, in vista dei meriti di Cristo, ma per la sua straordinaria partecipazione con tutta se stessa agli eventi redentivi del Figlio suo. Cosicché Ella si trova al centro non solo del Mistero di Cristo ma anche della Redenzione di ogni uomo e di tutti gli uomini.

La formula di consacrazione diventa, oltre che un riconoscimento della grandezza e dell’importanza della Madre di Dio, una risposta piena di fede e di amore alla sollecitazione proveniente dalla Rivelazione, cioè da Dio stesso che vuole mettere nelle mani di Maria l’umanità malata e renderla così conforme alla dignità del Figlio Unigenito, concepito e offerto per le mani di Maria.

 

L’altra formula di consacrazione, di qualche decennio più tardiva, la troviamo in Oriente, ad opera del santo monaco e Dottore della Chiesa, Giovanni Damasceno, attivo soprattutto a Gerusalemme a cavallo tra il VII e l’VIII secolo:

«Anche noi oggi ti restiamo vicini, o Sovrana; sì, lo ripeto, Sovrana, Madre di Dio e Vergine, legando le nostre anime alla tua speranza, come ad un’àncora saldissima e del tutto infrangibile (Cf Eb 6,19), consacrandoti mente, anima, corpo e tutto il nostro essere e onorandoti, per quanto a noi è possibile, con salmi, inni e cantici spirituali (Ef 5,19). È impossibile una maniera adeguata. Se davvero, come ci ha insegnato la parola sacra, l’onore reso ai compagni di servitù testimonia della benevolenza verso il comune padrone, come trascurare l’onore per te, che hai generato il tuo Padrone? Non va ricercato alacremente? Non è da anteporre perfino al soffio vitale, e non è fonte di vita? In questo modo potremmo caratterizzare meglio l’affetto verso il nostro Padrone. Ma che dico verso il Padrone? È sufficiente in realtà per questi che serbano pienamente la tua memoria, il dono preziosissimo del tuo ricordo: è questo il culmine di una gioia che non può essere sottratta. Di quale letizia, di quali beni é ricolmo colui che ha fatto del suo intelletto lo scrigno del tuo santissimo ricordo? Questa è la nostra offerta di ringraziamento verso di te, le primizie dei nostri discorsi, il saggio del nostro umile pensiero che, mosso dall’amore per te, ha dimenticato la propria debolezza. Accetta comunque con benevolenza questo desiderio appassionato, sapendo che va al di là delle nostre forze. Volgi lo sguardo verso di noi, nobile Sovrana, Madre del Buon Sovrano; governa e dirigi quel che ci riguarda a tua discrezione, trattenendo gli impeti delle nostre vergognose passioni, guidandoci al porto senza tempeste della divina Volontà, stimandoci degni della futura Beatitudine, della dolce illuminazione al cospetto del Logos di Dio, che da te si è incarnato. Con Lui al Padre gloria, onore, forza, maestà e magnificenza, in unità con lo Spirito Santissimo, buono e vivificante, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen»[42].

 

Nonostante lo stile anche qui scopertamente omiletico, del resto a quei tempi l’omelia era il genere letterario più diffuso a differenza di oggi, si colgono qui riflessioni più mature sulla natura della consacrazione che ci avvicina sensibilmente alle formule più moderne.

L’espressione «consacrandoti mente, anima, corpo e tutto il nostro essere», specifica in maniera approfondita l’offerta di sé alla Vergine, compiuta non più in maniera generica, come per Ildefonso di Toledo, e sebbene le domande retoriche che magnificano la grandezza di Maria e la sua dipendenza totale da Dio rendono un poco prosaico il testo, esse sottolineano ancor più il fine della consacrazione che è Gesù Cristo, che per la Mediazione di Maria, deve condurre il consacrato alla Beatitudine per mezzo della vittoria sulle “vergognose passioni” e sulle tempeste del mondo.

 

Anche qui si possono distinguere quattro differenti momenti:

1) l’affidamento vero e proprio a Maria;

2) la vittoria sulla carne e sulle difficoltà;

3) la beatitudine e l’illuminazione del Logos;

4) la dossologia finale.

 

Cambiando i termini sembra che sostanzialmente le due formule si assomiglino per i contenuti, stante il linguaggio un po’ più raffinato del Dottore orientale, che viene dalla lunga tradizione greco-costantinopo­litana, e si fa forte della teologia dei privilegi mariani, già fortemente sviluppata in Oriente. L’indicazione del Logos come fine della consacrazione, invece che chiamarlo col nome storico, Gesù, indica la grande deferenza e il rispetto della teologia orientale per il Santo Nome, e la teologia alta, veramente trascendente che da Atanasio a Crisostomo, passando per Basilio e Gregorio di Nazianzo è patrimonio della grande tradizione orientale di ispirazione giovannea.

 

 

  1. Formule comunitarie di consacrazione a Maria

 

La più antica e comprovata forma pubblica di affidamento alla Madre di Dio è la famosa preghiera Sub tuum presidium, nota nella liturgia greca, copta, romana e ambrosiana, presente sin dal III secolo nelle formule liturgiche dei cristiani.

Così suona, tradotto dal greco in latino, il testo ritrovato ad Alessandria d’Egitto su papiro, nel 1917:

       

        «Sub misericordiam tuam confugimus,

        Dei Genitrix.

        Nostras deprecationes

        ne despicias in necessitatibus,

        sed a periculis salva nos,

        sola sancta et benedicta»­.

 

Il testo ambrosiano latino è più vicino a questo testo che risale alla fine del II secolo o all’inizio del III:

 

        «Sub tuam misericordiam confugimus

        Dei Genitrix

        nostram deprecationem

        ne inducas in tentationem

        sed de periculo libera nos

        sola casta et benedicta».

 

Il testo latino attuale pone dei complementi, probabilmente legati alla Chiesa di Roma. Questo testo è quello attualmente accolto nella liturgia romana:

 

        «Sub tuum praesidium confugimus,

        Sancta Dei Genitrix.

        Nostras deprecationes

        ne despicias in necessitatibus,

        sed a periculis cunctis libera nos semper,

        Virgo gloriosa et benedicta».

La retrodatazione del manoscritto di Alessandria al II-III secolo fu problematica. L’acquirente del papiro infatti, Colin Roberts, un convinto studioso protestante, non poteva accettare che una così forte devozione mariana fosse presente nella Chiesa in tempi così anteriori al dogma di Efeso (431)[43]; per cui il papiro non fu pubblicato che nel 1938, più di vent’anni dopo la sua scoperta. Il professor Roberts, sulla spinta della teologia di Barth, che considerava la mariologia «il tumore del cattolicesimo», era convinto che la devozione mariana nella Chiesa potesse risalire al massimo all’età dei Concili.

Ma i suoi colleghi archeologi, pure protestanti, lo smentirono e dimostrarono l’antichità dello scritto, che non può essere datato oltre il III secolo.

La sua teologia è molto semplice ma intensa: si tratta di rivolgersi al «praesidium», letteralmente all’“accampamento militare”, di Maria, per ottenere Misericordia, la protezione divina. Per essere liberati dai mali presenti «necessitatibus» e da ogni altra tentazione «periculis cunctis».

Si tratta di uno straordinario atto di fiducia nella Mediazione onnipotente di Maria, la quale è ritenuta capace di scacciare i mali presenti (probabilmente le persecuzioni, che, anche se di breve durata, imperversavano frequentemente e molto crudelmente su tutto il popolo cristiano durante tutto il II e il III secolo d.C.), nonché qualsiasi altro male che può imperversare sul popolo di Dio.

La professione di fede «Dei Genitrix», presente in tutte e tre le formulazioni, anticipa di molto il Concilio di Efeso e dice di una devozione e di una ferma convinzione già presente nel popolo di Dio e nella liturgia circa la Madonna, chiamata già dai primissimi secoli cristiani «Madre di Dio». Ciò dimostra il grande retroterra della tradizione cristiana nella proclamazione del primo dogma mariano (quello della Theotòkos), che non è frutto semplicemente di speculazione teologica ma della fede costante e ininterrotta del popolo di Dio.

Nell’invocazione finale c’è l’unicità della benedizione relativa o alla santità (testo copto), o alla castità (testo ambrosiano), o alla verginità (testo romano) di Maria. Sembra però non ci siano grosse differenze di significato. Probabilmente un testo tramandato per lo più oralmente deve inevitabilmente contenere differenze di espressione, riportabili però a un sostrato comune.

Comune a tutti i testi sembra la convinzione dell’elezione privilegiata di Maria nella sua posizione di eterna Mediatrice.

Tra le consacrazioni comunitarie si possono annoverare anche le consacrazioni delle città a Maria.

La festa della consacrazione di Costantinopoli a Maria viene fatta risalire all’11 maggio, cioè all’atto di dedicazione di Costantino, il fondatore della città che porta il suo nome, l’11 maggio dell’anno 330. In realtà, tale dedicazione fu fatta a Cristo; ma la pietà dei patriarchi e del popolo non tardò ad attribuirla anche a Maria, che da allora è sempre considerata la Protettrice della Città e dell’impero[44].

Gli imperatori non tardarono in forza di questa consacrazione ad attribuire a Maria anche vittorie militari. La città era “Sua” e nessuno poteva violarla.

Teodoro Sincello, prete costantinopolitano sotto il patriarca Sergio (610-638), racconta come Maria intervenne contro due incursioni barba­riche, nel 619 e 626, combattendo Lei stessa la battaglia in favore dell’im­pero cristiano[45]. Nella stessa omelia celebrativa, che ci serve come fonte storica per i fatti narrati, il Sincello descrive la grande devozione di Co­stantinopoli per la Vergine, legata alla presenza di numerose chiese a Lei dedicate e al possesso della reliquia dell’abito della Santa Madre di Dio, gelosamente conservata nella chiesa di Blacherne da cui fu momentane­amente trafugata per sottrarla all’assedio[46].

Un secolo più tardi, Germano di Costantinopoli, forse il più grande teologo mariano dell’antichità, alla corte della “Città di Maria”, narra come la Vergine, per la sua potente intercessione presso il Figlio, abbia ottenuto a Costantinopoli e a tutto l’impero una straordinaria vittoria sui saraceni, proprio il 15 agosto, festa della sua Dormizione[47].

Altra consacrazione “comunitaria” può essere considerata quella dei Sommi Pontefici romani, i quali, essendo insigniti della divina istituzione del primato romano, consacrando se stessi, la loro persona papale, consacrano tutto il loro pontificato a Maria.

Anche Roma, come Costantinopoli, presenta segni di grande devozione mariana collettiva. Al tempo del Concilio di Efeso erano ivi già presenti quattro Basiliche dedicate alla Santa Vergine: la Liberiana (Santa Maria Maggiore), Santa Maria Antiqua, Santa Maria Rotunda, Santa Maria in Trastevere, ognuna coi suoi tesori artistici.

 

Il titolo di «Sancta Maria» è l’equivalente latino teologico del titolo Theotòkos, come attesta l’iscrizione dell’ambone di Santa Maria Antiqua in duplice lingua latina e greca:

 

«Noviter fecit: † IOHANNES SERVUS S(an)C(t)AE MARIAE

/IOANNOY ?OY?OY THS TEOTOKOY»[48].

 

Alcuni considerano questa scritta, apposta dal papa Giovanni (forse Giovanni VII), una formula di consacrazione a Maria. Si definisce infatti «Giovanni Servo di Santa Maria, [di Giovanni (?) della Madre di Dio]». Esso corrisponde a grandi linee al titolo dell’emblema papale di Giovanni Paolo II: «Totus tuus ego sum, et omnia mea tua sunt. Accipio te in mea omnia, praebe mihi cor tuum, o Maria». Il Pontefice disse di aver tratto questa formula di consacrazione direttamente dal Trattato di san Luigi Maria Grignion de Montfort.

 

 

Conclusione

 

«De Maria numquam satis»

 

Leggo in questi giorni di una richiesta firmata da cinque Cardinali di Santa Romana Chiesa per chiedere al Santo Padre la proclamazione del dogma della «Maternità spirituale di Maria per tutti i credenti»[49]:

«Nel 2009, Cardinali e Vescovi di ogni continente hanno chiesto a Benedetto XVI di prendere in considerazione la promulgazione del dogma sulla Maternità spirituale di Maria nei suoi tre aspetti essenziali di Corredentrice, Mediatrice di tutte le grazie e Avvocata. Si è giunti a ciò dopo che cinque Cardinali hanno scritto ai Vescovi di tutto il mondo pregando di richiedere al Santo Padre un quinto dogma mariano.

I cinque porporati sono il cardinale Telesphore Toppo, Arcivescovo di Ranchi (India); il cardinale Luis Aponte Martínez, Arcivescovo emerito di San Juan (Porto Rico); il cardinale Varkey Vithayathil, Arcivescovo di Ernakulam-Angamaly (India); il cardinale Ricardo Vidal, Arcivescovo di Cebu (Filippine); il cardinale Ernesto Corripio y Ahumada, Arcivescovo emerito di Città del Messico»[50].

 

Questo movimento che ha radici antiche, almeno quanto gli inizi del secolo ventesimo, con l’impegno del cardinale Mercier, di Malines, oggi sembra rinascere.

Abbiamo visto saltando forse troppo qua e là tra i testi patristici, che la persona di Maria appare centrale nella Redenzione. Giustamente Ella ha la funzione di Corredentrice nel suo doppio aspetto di Cooperatrice all’Opera di Gesù e di Mediatrice nell’opera di Salvezza di tutto il genere umano.

Se il suo posto è davvero così centrale per la salvezza di ogni uomo non si dovrebbe temere di diffondere sempre più la necessità dell’affida­mento o consacrazione a Lei per restaurare l’umanità decaduta dopo il peccato, perché per Lei e solo per Lei passa la grazia di Cristo.

Da qui l’impegno personale e sociale, già abbracciato singolarmente da singoli devoti, da ecclesiastici e persino da pontefici come Pio XII o Giovanni Paolo II, sia in forma privata che comunitaria, di decidersi in questi nostri tempi tumultuosi, di mettere ordine alle nostre anime e alle nostre comunità, per mezzo della consacrazione di noi stessi alla Santa Vergine e Madre di Dio:

«Quando Maria ha messo le sue radici in un’anima, vi produce meraviglie di grazia, quali Lei sola può compiere, perché Lei sola è la Vergine feconda che non ebbe, né avrà mai chi le somigli in purezza e fecondità. In unione con lo Spirito Santo, Maria ha realizzato la più grande opera che mai sia esistita o sarà, cioè un Dio-Uomo. Di conseguenza Ella compirà anche le più grandi cose che avverranno negli ultimi tempi. La formazione e l’educazione dei grandi santi, che vivranno verso la fine del mondo, sono riservate a Lei, perché soltanto questa Vergine singolare e miracolosa può produrre, insieme allo Spirito Santo, le cose più singolari e straordinarie»[51].

[1] «Se si facesse un referendum internazionale sulla questione Qual è il più bel libro scritto sulla Madonna, io son certo che la maggior parte delle risposte darebbe la preferenza a questo piccolo libro (Il Trattato della vera devozione, ndr). È un libretto veramente classico, una vera piccola somma di teologia mariana… È un libretto – ripetiamo – superiore ad ogni elogio, destinato ad essere il manuale di ogni vero devoto alla Vergine Santissima» (G. Roschini, in Marianum, giugno 1940, p. 322).

[2] TVD 139.

[3] «Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14).

[4] «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa».

[5] TVD 25: Il Montfort insiste che è solo per mezzo di Maria che lo Spirito Santo poté essere donato alla Chiesa: «Dio Spirito Santo ha comunicato a Maria, sua fedele Sposa, i suoi doni ineffabili. L’ha scelta quale dispensatrice di tutto ciò che possiede: di modo che Ella distribuisce a chi vuole, quanto vuole, come vuole e quando vuole, tutti i suoi doni e le sue grazie. Nessun dono del cielo è concesso agli uomini che non passi per le mani verginali di Lei. Il volere di Dio è, infatti, che tutto ci venga donato per mezzo di Maria».

[6] Sacra Congregazione per L’educazione Cattolica, Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale 20, Roma 1989: «I Padri hanno dato la prima risposta consapevole e riflessa alla Sacra Scrittura, formulandola non tanto come una teoria astratta, ma come quotidiana prassi pastorale di esperienza e di insegnamento nel cuore delle assemblee liturgiche, riunite per professare la fede e per celebrare il culto del Signore Risorto. Sono stati così gli autori della prima grande catechesi cristiana».

[7] Ivi, 20: «Nella nostra coscienza cristiana, i Padri appaiono sempre legati alla Tradizione, essendone stati contemporaneamente protagonisti e testimoni. Essi sono più vicini alla freschezza delle origini. Alcuni di loro sono stati testimoni della Tradizione Apostolica, fonte da cui la Tradizione stessa trae origine; specialmente quelli dei primi secoli possono considerarsi autori ed esponenti di una tradizione “costitutiva”, della quale nei tempi posteriori si avrà la conservazione e la continua esplicazione».

[8] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Optatam totius sulla formazione sacerdotale del 28.10.1965, 16: «Nell’insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici. Si illustri poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente nella fedele trasmissione ed enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l’ulteriore storia del dogma, considerando anche i rapporti di questa con la storia generale della Chiesa. Inoltre, per illustrare quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso con un lavoro speculativo, avendo san Tommaso per maestro. Si insegni loro a riconoscerli sempre presenti ed operanti nelle azioni liturgiche e in tutta la vita della Chiesa. Infine, imparino a cercare la soluzione dei problemi umani alla luce della rivelazione, ad applicare queste verità eterne alle mutevoli condizioni di questo mondo e comunicarle in modo appropriato agli uomini contemporanei».

[9] Sant’Ireneo, Adversus Haereses III, 22, 4: «[…] come Eva divenne causa di morte per tutto il genere umano, così Maria […] obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano».

[10] Giovanni Paolo II, Udienza generale del 14.02.2001, 1: «A cogliere per primo e a sviluppare in modo mirabile questo tema della “ricapitolazione” è sant’Ireneo, vescovo di Lione, grande Padre della Chiesa del secondo secolo. Contro ogni frammentazione della storia della salvezza, contro ogni separazione tra Antica e Nuova Alleanza, contro ogni dispersione della rivelazione e dell’azione divina, Ireneo esalta l’unico Signore, Gesù Cristo, che nell’Incarnazione annoda in sé tutta la storia della salvezza, l’umanità e l’intera creazione: “Egli, da re eterno, tutto ricapitola in sé” (Adversus haereses III, 21,9)».

[11] Sant’Ireneo, Advesus Haereses  III, 22, 4: «Il nodo che la disobbedienza di Eva aveva intrecciato è stato sciolto dall’obbedienza di Maria: infatti ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria l’ha sciolto con la sua fede».

[12] Sant’Ireneo, Adversus Haereses III, 21, 9-10; 22, 1-2.

[13] Ivi, 1: Il disegno salvifico di Dio, «il mistero della sua Volontà» (Ef 1,9) concernente ogni creatura, è espresso nella Lettera agli Efesini con un termine caratteristico: “ricapitolare” in Cristo tutte le cose, celesti e terrestri (cf Ef 1,10). L’immagine potrebbe rimandare anche a quell’asta attorno alla quale si avvolgeva il rotolo di pergamena o di papiro del volumen, recante su di sé uno scritto: Cristo conferisce un senso unitario a tutte le sillabe, le parole, le opere della creazione e della storia.

[14] Cf Sant’Ireneo, Adversus Haereses IV, 33, 11 (PG 7, 1080).

[15] CCC, n. 526.

[16] Gv 3,3; gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio».

[17] TVD 32

[18] Ivi, 140.

[19] Ivi, 141.

[20] Cf J. Quasten, Patrologia I, i primi due secoli (II-III), Casale Monferrato 1980, p. 352.

[21] «Nessuno può comprendere il Vangelo (di Giovanni) se non ha riposato sul petto di Gesù e non ha ricevuto come lui Maria per Madre» (Origene, Commento al Vangelo di Giovanni I, 6).

[22] Cf TVD 33.

[23] Sant’Agostino, De Sancta Virginitate VI, 6 (PL 40, 399).

[24] Sant’Agostino, Commento all’epistola ai Parti di Giovanni I, 2 (PL 35, 1979).

[25] Cf Paolo VI, Allocuzione tenuta nella Basilica Vaticana ai Padri Conciliari nella festa della Presentazione della BMV a chiusura del terzo periodo del Concilio Ecumenico (21 novembre 1964), AAS 56 (1964), p. 1016.

[26] «È altresì dovere dei fedeli tutti di tributare alla fedelissima ancella del Signore un culto di lode, di riconoscenza e di amore, poiché, secondo la sapiente e soave disposizione divina, il libero suo consenso e la generosa sua cooperazione ai disegni di Dio hanno avuto, ed hanno tuttora, un grande influsso nel compimento dell’umana salvezza. Perciò ogni cristiano può far propria l’invocazione di sant’Anselmo: O gloriosa Signora, fa’ che per te meritiamo di ascendere a Gesù, tuo Figlio, che per tuo tramite si degnò di scendere tra noi» (Paolo VI, Signum Magnum, 7).

[27] Origene, Commento al Vangelo di  Giovanni I, 4 (PG 14, 34).

[28] «Tutta la nostra perfezione consiste nell’essere conformi, uniti e consacrati a Gesù Cristo. Perciò la più perfetta di tutte le devozioni è incontestabilmente quella che ci conforma, unisce e consacra più perfettamente a Gesù Cristo. Ora, essendo Maria la creatura più conforme a Gesù Cristo, ne segue che tra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma di più un’anima a Nostro Signore è la devozione a Maria, sua santa Madre, e che più un’anima sarà consacrata a Lei, più sarà consacrata a Gesù Cristo» (TVD 120).

[29] Cf Gal 2,20.

[30] «…se il discepolo deve in certo modo perdere la sua identità, per diventare Cri­sto, Maria, che ha generato Cristo, può dirsi anche Madre sua. Tutto poggia sull’in­terpretazione letterale del testo giovanneo: “Donna, ecco (il) tuo figlio”, quell’unico fi­glio che tu hai generato» (Aa. Vv., Testi mariani del primo millennio, I – Padri ed altri autori greci, Roma 1988, p. 206).

[31] TVD 152.

[32] Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 8, 9 (PL 35, 1465).

[33] Ivi, 8, 12.

[34] Frammento Muratoriano, in G. Bosio-E. Dal Covolo-M. Maritano, Introduzione ai Padri della chiesa. Secoli I-II, Torino 1990, p. 117: «Il Pastore fu scritto recentemente, ai nostri tempi, nella città di Roma, da Erma, mentre il fratello suo Pio occupava il seggio episcopale della Chiesa della città di Roma. Bisogna dunque leggerlo, ma non farne lettura pubblica al popolo nella Chiesa, tra i profeti, perché il loro numero è già completo, e nemmeno tra gli apostoli, perché è già finito il tempo degli apostoli».

[35] Cf S. Giet, Les trois auteurs du Pasteur d’Hermas, in Studia Patristica 8/2 (1966) 10-23.

[36] Erma, Il Pastore, Visione II, 4-3, in A. Quacquarelli, I Padri Apostolici, [Testi patristici, 5] Roma 2005, p. 249: «Scriverai due libretti e ne manderai uno a Clemente e uno a Grapte. Clemente poi lo manderà ad altre città, come è stato incaricato. Grapte esorterà le vedove e gli orfani. Tu lo leggerai a questa città con i presbiteri che sono preposti alle Chiese».

[37] Ivi, Visione III, 1-2.

[38] Ivi, Visione III, 9.

[39] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen gentium, 68: AAS 57/1965 p. 66: «La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino».

[40] Sant’Ildefonso di Toledo, Libro sulla Verginità di Santa Maria contro tre negatori I-XIII, in Aa.Vv., Testi Mariani del I millennio III, Roma 1988, pp. 683-684.

[41] «Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto “il primogenito di una moltitudine di fratelli”, cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione Ella coopera con amore di Madre» (LG 63).

[42] San Giovanni Damasceno, Omelia I sulla Dormizione (PG 96, 722).

[43] Cf  V. Messori, Ipotesi su Maria, Milano 2005, p. 209.

[44] Per quanto riguarda la fede e la venerazione di Costantinopoli, «città di Maria», alla Vergine Theotokos, si veda soprattutto: A. Wenger, Foi et piété mariale à Byzance, in H. Du Manoir, Maria, V, Paris 1958, p. 923-981; G. Gharib, Le icone mariane. Storia e culto, Roma 1987, p. 31-50. G. Gharib, presentando l’icona intitolata «A te, condottiera invincibile» ispirata al primo verso del proemio dell’Akathistos, ricorda come la Madre di Dio, a partire almeno dal secolo V, fosse considerata segno indubitato di vittoria, Protettrice di Costantinopoli, e la sua icona fosse raffigurata sui labari dell’esercito, sulle monete, sulle porte della Città (ivi, p. 130-135).

[45] Cf  T. Sincello, Inventio et depositio vestis in Blachernis (CPG 7935).

[46] Cf  A. Di Berardino, Teodoro Sincello, in Patrologia. I padri orientali (secc. V-VIII), Genova 2000, pp. 105-106.

[47] Cf Germano Di Costantinopoli, Homilia de akathistos vel de dormitione (CPG 8014).

[48] In Dictionnaire d’Archèologie Chrétienne et de Liturgie (DACL), a cura di F. Cabrol-H. Leclercq, vol. I-XV, Parigi 1924-1953, in particolare vol. V, c. 2017.

[49] Cf http://www.zenit.org/article-21583?l=italian.

[50] Ibidem.

[51] TVD 35.

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